“La Provvidenza ha disegni speciali su di me”

Eugenio e Vanda CortiNei diari dello scrittore del “Cavallo rosso”, i tormenti della guerra, la fede, la scrittura. Dialogo con Vanda Corti intorno allo scrittore più inattuale e controcorrente del Novecento, che preferiva Omero ai contemporanei. In attesa di leggere le lettere d’amore alla moglie.

1940, Cesenatico. Eugenio Corti è un ventenne bello, volitivo, con i capelli al vento e il viso virile. Nella fotografia solleva il fratello Francesco sopra la testa, sembra un eroe omerico, alle spalle l’Adriatico. Dietro l’Adriatico, le vaste pianure dell’Est, e poi la Russia. Fatata. Fatale. Fin dalla prima pagina dell’antologia dei diari, raccolti da Ares, l’editore coraggioso del Cavallo rosso, come “Il ricordo diventa poesia” (Milano, 2017, pp.176, euro 14,00), per la cura di Vanda Corti, la compagna della vita, e di Giovanni Santambrogio, la vita di Corti sembra tutta ispirata dallo stilo della Provvidenza.

Siamo nel 18 novembre 1940, “sera”. C’è la guerra – “la mia statura registrata alla visita per l’arruolamento militare è di m. 1,78” – c’è l’arte – il “disordine” che Corti attribuisce “al mio temperamento artistico, qualunque esso sia” – e in particolare la scrittura – “ore continue a meditare o a scrivere impetuosamente” – e l’etica, quel sano desiderio “di stare attaccato al buon senso, che è la cosa più necessaria ai nostri giorni”, che ritroviamo nella vita e nell’opera del più epico e inattuale dei romanzieri italiani del Novecento.

In modo molto sommario, i diari di Corti – autore di una impresa romanzesca unica nel nostro Paese – testimoniano che lo scrittore è sempre stato ‘in guerra’. Al di là della guerra fisica – esemplificata dall’ingresso e dalla ritirata dalle fauci russe – e di quella d’amore – che ha per simbolo Margherita, donna enigmatica, quasi astratta, emblema della purezza: “Margherita è tornata nei miei pensieri. Torna sempre, ogni qualvolta cerco di pensare qualche cosa di supremamente bello” – c’è la guerra intellettuale, nel campo dell’editoria, per contrastare la letteratura dell’epoca (“Quel po’ d’ambiente letterario che ho conosciuto mi ha così disgustato per la sua miseria”), di moda e di regime. Nelle ultime pagine antologizzate, leggiamo gli sforzi, siamo nel 1947, per pubblicare I più non ritornano con Garzanti, che vuole soldi, l’eccezionale testimonianza – in forma di diario – della ritirata di Russia da parte dell’esercito italiano. Vi si legge la consapevolezza di Corti di essere artista compiuto (“molte copie, sono ben lontano dal nascondermelo, sono state vendute per l’interesse, diremo così, di cronaca: ma sarà presto, sarà tardi, arriverà il giorno in cui il lato d’arte dovrà prendere per tutti il sopravvento”) e la sua ‘poetica’, antimoderna, inattuale, controcorrente: “devo tornare ai miei diletti Omero-Virgilio-Dante attraverso il superamento della cultura posteriore”. La testimonianza diaristica, insomma, è necessaria per entrare nel mondo di Corti. Che ha il ferro della necessità. Ne dialoghiamo con la moglie, Vanda.

Intanto, quanti sono i diari di Eugenio Corti? Quali criteri hanno animato la scelta antologica?
“I diari di Eugenio sono raccolti in due serie di quaderni, per un totale di 17 quaderni. Sono stati scritti tra il 1940 e il 1949, e da quella mole abbiamo trascelto, direi, un decimo del lavoro complessivo. Quanto ai criteri… sa, io ho insegnato per molti anni, e ho pensato agli studenti. Volevo un libro che raccontasse la storia di Eugenio, da divulgare soprattutto nelle scuole”.

Per capirci: quale altro materiale abbiamo di Corti, ancora inedito?
“Oltre alla maggior parte dei diari, esiste un quadernone, sulla vita del collegio, dal 1938 al ’39, di difficile lettura…”.

Dal 1949, dunque, Corti non tiene più un diario…
“No. Scrive alcune pagine, in concomitanza di momenti di qualche importanza. Ma non tiene più un diario vero e proprio. In un quaderno, però, in modo molto puntuale, per tutta la vita, annota gli avvenimenti delle sue giornate, gli appuntamenti con persone più o meno celebri, ad esempio. Un documento importante per ricostruire i rapporti di Eugenio”.

Nell’antologia ci sono alcune pagine sulla Russia, ma i diari ‘di guerra’ mancano. Come mai?
“Mi sembravano eccessivi in questo lavoro antologico, che ha intenti divulgativi. Alessandro Rivali, però, che ha curato la resa editoriale del libro, vorrebbe costruire un volume solo con le pagine ‘di guerra’ di Eugenio. Vedremo”.

A leggere il diario si avverte che Corti è scrittore fin da subito: la sua non è mera scrittura memorialistica, diaristica, ma è già intrisa di riflessioni, di pensieri, di pagine pienamente narrative. Si avverte che assistiamo all’alba di un grande autore.
“Devo dire che è proprio così: nei diari si percepisce la maturazione di Corti come scrittore. Prima abbozza racconti piuttosto superficiali, poi, negli anni, giunge a una profondità di scrittura molto più matura, più bella. Il diario è fitto di considerazioni sulla vita molto intense. Eugenio era così, era uno che voleva viere la vita a modo suo, secondo il suo modo di vedere. Questo mi piaceva, anche nelle piccole cose. Ad esempio, quando partivamo per un viaggio, in macchina – siamo stati in Portogallo, in Scandinavia, in Tunisia, in Grecia, per dire – avevamo una meta, ma non un progetto definito sul come raggiungerla. Non prenotavamo mai gli alberghi, ad esempio. Andavamo all’avventura. Faccio ancora così, quando devo andare da qualche parte”.

Veniamo al cuore della scrittura. Corti legge continuamente Omero, Dante e Virgilio. Non cita mai i contemporanei…
“Sa, noi la letteratura moderna l’abbiamo coltivata poco. Eugenio tornava spesso ai ‘fondamentali’, gli autori che ha citato. Gli piaceva molto Giovanni Pascoli. Tra i contemporanei mi parlava di Silone, amava Primo Levi e altri autori ‘di guerra’, ma poco altro”.

…insomma, Corti resta un inossidabile inattuale. E i diari, spesso, ci appaiono come il terreno preparatorio del Cavallo rosso. Come è stato stare al fianco di un uomo come Corti?
“Spesso nei diari ho intravisto le pagine del Cavallo rosso o degli Ultimi soldati del re, ovviamente rielaborate. Come è stato vivere con Eugenio… beh, quando scriveva Eugenio non chiedeva consiglio a nessuno, tanto meno a me. In casa aveva un suo studio, viveva lì e non lo si poteva disturbare. Io stessa, se dovevo chiedergli qualcosa, gli parlavo a pranzo, quando me lo permetteva. Non accettava le visite di nessuno durante il giorno, ma soltanto dopo cena. Non voleva essere interrotto quando scriveva. Poi, certo, aveva i suoi momenti di stacco, di quiete”.

Senta, ma nei diari Corti esalta la figura enigmatica di Margherita. Di lei, incontrata alla Cattolica di Milano nel 1947 e sposata in Assisi il 23 maggio 1951, con la benedizione di don Carlo Gnocchi, appena un accenno, delicatissimo, “dovrei ora parlare di V., più importante di quanto detto finora. Ma non lo faccio”. Come mai?
“Margherita è stata un po’ la mia ‘rivale’… una rivale per me sconosciuta, che ho conosciuto leggendo i diari di Eugenio. Margherita mi sembra una donna ideale. Quanto a me… devo dire che Eugenio – forse è un tratto della sua grandezza – non scriveva mai in modo chiaro, spudorato, delle cose che lo colpivano profondamente”.

Al termine della sua nota “Al lettore”, tuttavia, ci fa partecipi di una lettera che le ha inviato Corti. Quasi che i diari preludessero a una raccolta di lettere d’amore di Corti alla donna della sua vita…
“Forse andrà così. Conservo diverse lettere inviatemi da Eugenio, soprattutto nel momento del nostro fidanzamento, se possiamo chiamarlo in questo modo. La nostra storia è stata un po’ una battaglia. Avevamo caratteri diversi. Eugenio espansivo, vitale… io venivo da una vicenda familiare che mi teneva chiusa in una sorta di guscio. Ad ogni modo, le lettere sono ordinate e ribattute al computer. Forse verranno pubblicate”.

Così la storia di guerra si muta in atto d’amore.

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo alcune pagine dai diari di Eugenio Corti raccolti in “Il ricordo diventa poesia” (Ares, 2017)

21 gennaio 1941
Oggi ho compiuto i vent’anni! Ho vent’anni! A questa considerazione tutta una massa di pensieri s’abbatte nel mio cervello come per sommergerlo. Sono ricordi, riflessioni, sensazioni, progetti per il futuro anche. Ricordi: si è chiusa una fase della mia vita, la più importante, forse. Io mi rivedo ai tempi che mi sembrano ora immensamente lontani della mia prima fanciullezza, negli anni che precedettero la mia entrata nella scuola. I miei lineamenti, quantunque questi anni che sono passati li abbiano un po’ modificati indurendoli e in parte cambiandoli, sono ancora tali da richiamare molto da vicino quelli di allora. Gli occhi soprattutto e la piega delle sopracciglia sono ancora quelli. Se accosto la mia ultima fotografia per tessera, alla fotografia di me che, vestito d’un pagliaccetto a scacchi bianchi e neri, tengo per la briglia un cavallo di legno e guardo imbronciato, la rassomiglianza è vivissima. Bel tempo passato pieno di sole, di sole, di sole. Poi i tempi della scuola comunale: quanto sole anche allora! Chissà perché il ricordo ai miei primi anni è indissolubilmente legato per me al ricordo degli interminabili, meravigliosi pomeriggi estivi, tutti pieni di sole. E poi ricordo la mia partenza per il collegio: in quarta elementare. Fatti, considerazioni sentite o fatte, sfumature, primi incontri: tutto quello che riguarda la mia entrata in collegio io ricordo alla perfezione. E per mesi poi, più tardi, la speranza che tutto fosse un sogno, un triste sogno, e io potessi nuovamente rincominciare la mia vita nel sole. Poi Padre Bianconi e le sue prediche che così mi impressionarono e tanto bene mi fecero. Poi le prime difficoltà col latino, poi su su lo studio del greco: quanti anni, quanti volti noti di gente che ormai m’è quasi estranea! E il primo anno di liceo, e la maturità, e l’entrata nella vita universitaria: l’iscrizione nel giorno e nell’ora in cui è morta la zia Maria. Tutto è passato in un baleno. Gli sforzi giganteschi spinti al parossismo alle volte per lo studio; i miei scrupoli un tempo, e più tardi le tremende lotte interne prima di ogni decisione importante: ora tutto s’è calmato e la vita procede tranquilla sulle direttive che in quei giorni di lotta e di tormento ho tracciato. E gli affetti: il dolore immenso per essere stato strappato all’amore della famiglia; il carattere che di conseguenza si è fatto sempre più chiuso, e il terribile desiderio d’un po’ d’affetto, e l’incapacità a riacquistare nei brevi soggiorni a casa l’abitudine di dare la confidenza alla mamma.

Forse mi sbaglio, ma penso che nessuno come me ha sentito a ogni minuto, a ogni passo, il desiderio dell’amore, penso che nessuno, o ben pochi, come me l’hanno tenuto lontano a ogni costo. Io ho vent’anni, ma sono senza amore che non sia per i familiari, e l’amore propriamente detto non lo ho mai conosciuto. Certo perché la Provvidenza ha dei disegni speciali su di me. Alle volte io tremo al pensiero della mia indegnità anche a essere solo un mezzo nelle mani del Signore. Alle volte penso spaventato che la Provvidenza si sia stancata di fronte alle mie miserie, alla mia pochezza, alla mia ingratitudine e allora mi abbia lasciato per servirsi di un altro per giungere allo scopo cui ero destinato io; e allora prego e mi agito, e invoco il Cielo, finché, ecco, un aiuto palese della Provvidenza in un qualsiasi caso, mi rende certo che la Sua mano mi dirige sempre sulla stessa strada: allora sono felice. Io non voglio che si interpreti come un atto di superbia la mia affermazione che la Provvidenza ha su di me un disegno speciale. Io mi umilio, proclamo la mia miseria senza nome, ma devo pur dir- lo che è così, negarlo per me sarebbe come negare l’esistenza di una cosa materiale che si trova a me davanti. Ah come vorrei che questo fosse un canto di lode alla Provvidenza! Come mi rodo al pensiero che tutto l’entusiasmo che c’è in me a questo pensiero, messo sulla carta, si riduca a tanta miseria.

Dopo i ricordi e le riflessioni: che mi rimane delle fatiche passate?

Sì, la scienza, la formazione mentale, la preparazione alla vita, eppure… sono, tutte queste, cose che mi soddisfanno abbastanza, ma non completamente. Non ho che vent’anni, ma riguardando alla vita passata, sento già che le uniche cose che possediamo e che nessuno ci può togliere, che ci danno vera gioia, sono le buone azioni. Tu fai, o Signore Eterno, che nella mia vita futura io sia meno ingrato, e meno peccatore, e più ti ami, e non ti offenda più. Perdonami o Signore di tanto male fatto, di tanto tempo speso inutilmente!

Vicino alle riflessioni, i progetti per il futuro: stamane ho fatto la Comunione, nella Cappella di San Francesco all’Università, perché Dio mi dia la forza per l’intercessione dei miei due protettori S. Paolo e S. Francesco di giungere alla meta che mi sono prefisso. Meta che si può racchiudere in una sola frase: glorificazione di Dio per quanto sta in me. Non parlerò qui dell’opera che ho intenzione di fare per raggiungere questo scopo, ne parlerò altra volta: è un’opera letteraria e per il lato battagliero è sotto la protezione di S. Paolo, e per il lato più di- rettamente poetico sotto quella di S. Francesco. Ma non solo: io stamane ho pregato anche la Madonna per una cosa di cui già devo preoccuparmi: non so se sarà fra poco o fra molto, certo è che dovrò incontrare la compagna della mia vita. Con la pratica assidua della virtù, della purezza, con una preparazione spirituale, non intensa forse ma continua, io mi sono venuto preparando a questo incontro. Enorme è il patrimonio d’amore che in tutti questi anni di mancanza d’affetto io sono venuto accumulando in me. Quando la Madonna mi farà incontrare l’oggetto a cui dedicare questo amore? Oggi ho vent’anni, forse il giorno dell’incontro non è lontano.

8 marzo 1948
Intanto, a parte parecchie settimane spese nella lotta elettorale ecc., dalla mia laurea mi sto occupando d’allargare la mia preparazione culturale-letteraria per affrontare il mio secondo libro. Quel po’ d’ambiente letterario che ho conosciuto mi ha così disgustato per la sua miseria che subito mi sono ritirato a star solo; ancora. Ho letto Shakespeare che mai avevo letto. Ho riletto bene Dante. Sto rileggendo Omero. Presto m’arriverà Virgilio. E intanto ho letto pure molte opere secondarie, che rispecchiano categorie letterarie. Sto leggendo Stendhal, devo leggere Proust, a malincuore, a fatica, almeno il primo che mi ripugna. Certo queste ultime letture sono necessarie, se devo tornare ai miei diletti Omero-Virgilio-Dante attraverso il superamento della cultura posteriore. Constato che, in complesso non mi sbagliavo, pensando di averli già assorbiti (e in gran parte espulsi) attraverso la vita dei nostri giorni, su cui hanno lasciato impronte. Presto dunque mi metterò al lavoro, e in- tanto già penso che, uscito il nuovo libro, inizierò un nuovo periodo di vita più mescolata alla vita comune, meno isolata. Certo, poi, tornerò a scrivere. L’ambiente non mi è molto favorevole…

(20/12/17, Pangea)